La Securities and exchange commission (Sec), il regolatore statunitense dei mercati finanziari, ha recentemente proposto degli aggiornamenti alla legislazione che riguarda i gestori finanziari (l’Advisers Act del 1940) per affinare nello specifico la regolamentazione dei private fund adviser, i gestori di fondi privati.
Questi aggiornamenti sono al momento parte di un lavoro di commento da parte degli addetti ai lavori e quindi soggetti a possibili variazioni. Essi fissano tuttavia una serie di elementi su cui il regolatore ha portato la propria attenzione al fine di evitare comportamenti potenzialmente dannosi per gli investitori o contrari al pubblico interesse.
Perché è un fatto positivo
Voglio anteporre, alla breve analisi e al commento che seguirà sui vari punti toccati dalla Sec, il mio parere sull’intervento del regolatore statunitense in generale.
Il timing di questi aggiornamenti è segnaletico. Evidenzia che ormai i private market hanno raggiunto il livello di istituzionalizzazione che in pratica li sdogana come asset class di investimento per ogni segmento di clientela. Appare infatti non casuale che questo intervento segua a poca distanza il pronunciamento del Department of labour (Dol) statunitense che inizia a considerare l’ammissibilità di investimenti private market per i piani pensionistici individuali, che sono notoriamente auto-amministrati, ovvero si lascia all’investitore retail la scelta dell’asset allocation.
La stessa Sec sottolinea peraltro come i private fund siano, nella mia interpretazione, “too big”, troppo grandi per essere trascurati. I 18 mila miliardi di dollari in asset gestiti dall’industria dei private fund hanno un impatto molto importante, evidenzia la Sec sul sistema finanziario, l’economia, e i risparmi degli investitori.
La mia opinione è che l’industria dei fondi privati possa cogliere un’opportunità nel cambiamento regolamentare prospettato. La trasparenza crea un vantaggio di fiducia particolarmente importante in una industria in cui la raccolta del risparmio avviene tipicamente a fronte di quello che si chiama “blind pool”, ovvero un fondo investito a “scatola chiusa” in cui il portafoglio investimenti sarà formato in un secondo momento.
Infatti, di norma, tale raccolta avviene sulla base di un track record passato, a partire del fondo precedente che è investito ma per la gran parte non liquidato. Questa circostanza fa sì che la performance dichiarata sia anche basata sulla valorizzazione periodica dei net asset value (Nav), ovvero su stime del gestore circa il rendimento non realizzato – il guadagno sulla carta, il paper gain. Per la fiducia dell’investitore, la fairness, la trasparenza di calcolo del NAV fa la differenza.
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